È l’autunno del 1897 quando un gruppo di studenti torinesi del Liceo Massimo d’Azeglio, fonda l’allora “Sport-Club Juventus”, come naturale conseguenza dei pomeriggi post-scolastici trascorsi a parlare dell’association football, il nuovo sport – già affermato in Gran Bretagna – che si stava diffondendo come una febbre proprio a Torino, e che quei ragazzi avevano iniziato a giocare nella vicina piazza d’armi cittadina, imitando alcuni adulti che lo praticavano poco distante, al parco del Valentino.
Il Liceo “D’Azeglio” è oggi una delle scuole “storiche” di Torino: i suoi albori risalgono al 1831 quando nella zona sud-orientale della città, area di ampliamento nei primi decenni dell’Ottocento, venne istituito il Collegio di Porta Nuova, che nei primi anni funzionava solo con quattro classi di “grammatica”, cui a partire dal 1838-39 viene aggiunto l’insegnamento di “umanità” e infine, dall’anno scolastico 1845-46, anche l’insegnamento della “retorica” che completava il ciclo di studio all’epoca definito preparatorio. Nel 1852 il Collegio di Porta Nuova viene poi trasferito in via Arcivescovado, presso la Parrocchia della Madonna degli Angeli e più tardi, nel 1857, trova collocazione in quella che da allora è rimasta la sua sede, con il nome di Collegio Municipale Monviso, assumendo dal 1860 il nome di Regio Collegio Monviso. Con il crescere della popolazione torinese, in ripresa dopo gli anni difficili del trasferimento della capitale d’Italia prima a Firenze e quindi a Roma, intorno agli anni Ottanta del XIX secolo si sente il bisogno di creare un nuovo Liceo Classico (dopo il “Cavour” e il “Gioberti”, risalenti al 1859): nel 1882, in luogo del “Monviso”, viene così fondato il “D’Azeglio”, intitolato al grande uomo politico del Risorgimento, che comprendeva i cinque anni di corso ginnasiale (gli attuali tre anni di Scuola Media e i due ginnasiali) e i tre del corso liceale.
Gli studenti del Liceo degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento appartengono, per lo più, alla borghesia che abita i palazzi della Torino umbertina e liberty (la zona della Crocetta e il corso Re Umberto), mentre le ragazze frequentavano scuole femminili o ricevevano una forma di insegnamento familiare. Del resto l’istruzione paterna (tramite un precettore) era ancora molto diffusa anche tra i maschi: talvolta si frequentava la scuola pubblica infatti solo per sostenere gli esami. I giovani fondatori del nuovo sodalizio sono quindi molto giovani, dapprima 13 ragazzi, le due coppie di fratelli liguri Eugenio ed Enrico Canfari e Gioachino ed Alfredo Armano, il toscano Luigi Gibezzi, i piemontesi Umberto Malvano, Carlo Vittorio Varetti, Umberto Savoja, Domenico Donna, Carlo Ferrero, Luigi Forlano, Enrico Piero Molinatti ed il pavese Francesco Daprà a cui si aggiunsero successivamente altri studenti, Guido Botto, Pio Crea, Carlo Favero, Gino Rocca ed Eugenio Secco, tutti con un’età compresa tra i quattordici e diciassette anni. Il luogo tipico di riunione di questi 18 liceali era una panchina non distante dalla loro scuola, di fronte alla pasticceria Platti verso il corso Duca di Genova, oggi corso Re Umberto, all’angolo di corso Vittorio Emanuele II; la panchina, dove i ragazzi poggiavano i loro libri e le loro cartelle, è custodita dal 2012 nel bellissimo museo del club bianconero, il J-Museum.
La data ufficiale di fondazione del club non è nota né contenuta in alcun documento e pertanto si assume come data convenzionale il 1º novembre 1897, mentre in Inghilterra da quasi trenta anni si disputava già il più antico al mondo e prestigioso dei tornei, che metteva in palio l’ambitissima The Football Association Cup [The FA Cup, o Coppa d’Inghilterra] vinta dai londinesi Wanderers (5), dall’Oxford University (1), dai Royal Engineers (1) del corpo genieri dell’esercito britannico, dall’Old Etonians (2) la squadra degli ex studenti del prestigioso Eton College, dal Clapham Rovers (1), dall’Old Carthusians (1) della Charterhouse School, dal Blackburn Olympic (1) e dal Blackburn Rovers (5), dall’Aston Villa (3), dal West Bromich Albion (2), dal Preston North End (1), dai Wolves del Wolverhampton (1), dallo Sheffield Wednesday (1), dal Notts County (1) e proprio quell’anno, per la prima volta, dal Nottingham Forest, mentre il più recente (si fa per dire, la prima edizione nel 1888) campionato inglese, denominato First Division, era un affare fra il Preston North End (2), l’Everton (1), il Sunderland (3) e campioni in carica dell’Aston Villa (3) di Birmingham. Inizialmente invece a Torino i soci fondatori del neonato sodalizio erano impegnati ad affrontare il non secondario problema della sede, risolto però dai fratelli genovesi Canfari che offrirono il retrobottega dell’officina ciclistica di proprietà del padre, in corso Re Umberto, al numero 42, dove ebbe luogo la prima riunione sociale.
Dopo una discussione accesa e molto partecipata i giovani soci selezionarono tre possibili denominazioni, fra cui votare quello che sarebbe diventato il nome della loro creatura. Una era “Società Via Fort”, il prediletto dagli studenti più classicheggianti, l’altra, caldeggiata invece dai latinofobi, era “Società Sportiva Massimo d’Azeglio” e, infine la meno quotata “Sport-Club Juventus” che alla fine – benché la maggioranza propendesse per i primi due nomi – prevalse, forse perché suonava come un elegante compromesso tra un nome anglosassone e uno latineggiante, e sembrò di certo più adatto per favorire la diffusione del nuovo sport e la passione per la squadra anche fuori dell’ambito cittadino o regionale. Mentre in Inghilterra, che da Torino si osservava con curiosità, l’irlandese Bram Stoker aveva pubblicato a Londra il suo capolavoro, il romanzo horror Dracula, che in Italia sarebbe arrivato solo nel 1922, il già famosissimo e discusso Oscar Wilde era stato rilasciato dalla prigione, e abbandonava la Gran Bretagna dove non avrebbe più fatto ritorno, e il genio italiano Guglielmo Marconi aveva brevettato la radio, sempre a Londra, e nella capitale britannica fondato la Wireless Telegraph Trading Signal Company che diventerà poi la Marconi Company Ltd, Enrico Canfari, a cui dobbiamo l’unico documento con caratteristiche di “ufficialità” attestante con sufficiente certezza la nascita e i primi anni della Juventus, scriveva che pochi simpatizzavano per il nome scelto, e che fra gli oppositori c’era proprio lui, che era il più maturo del gruppo, perché gli sembrava che quel “Juventus” più non s’addicesse ai soci una volta fattisi maturi, ma riconobbe poi di avere torto “perché nella Juventus non s’invecchia”, e proprio lui ne divenne il secondo presidente, succedendo al fratello Eugenio il quale aveva occupato il ruolo a partire dalla fondazione del club che aveva iniziato ad allenarsi sfoggiando una divisa molto semplice: una camicia bianca e lunghi pantaloni neri.
Allenamenti e primi confronti continuarono a svolgersi in prevalenza nella piazza d’armi torinese e proprio lì il giorno 11 giugno 1899 ebbe luogo la prima amichevole documentata della Juventus giocata contro la rappresentativa dell’Istituto tecnico Germano Sommeiller di Torino, sconfitto per 3-0, con tutte e tre le segnature intervenute nel secondo tempo da parte degli juventini che nel frattempo avevano adottato quella che è comunemente considerata la storica tenuta di gioco della Juventus, una camicia rosa carnicino con cravatta o farfallino nero accompagnata a pantaloni e calzettoni pure neri, introdotta dopo la sua ridenominazione del sodalizio quale Foot-Ball Club Juventus nel 1899 e originariamente adottata, date le ristrettezze economiche in cui versava il club agli albori, essenzialmente per l’esigenza di ricorrere al tessuto meno costoso disponibile sul mercato, per l’appunto il percalle rosa. Comunque questa divisa, comprendente anche voluminose cinture, che richiamavano le fasce dei giocatori di palla basca, venne sfoggiata sino all’entrata nel Novecento, e accompagnò l’esordio della Juventus nel campionato italiano del 1900, quando la squadra debuttò l’11 marzo nelle eliminatorie piemontesi perdendo 1-0 contro la FC Torinese, ma cogliendo poi il suo primo successo della storia la settimana successiva (18 marzo), superando per 2-0 la Ginnastica Torino e chiudendo il girone al secondo posto, non sufficiente per qualificarsi alla finale, dove la FC Torinese sarà poi battuta dal Genoa per 3-1 ai tempi supplementari.
Invece la stagione successiva, nell’edizione del 1901, gli juventini saranno sconfitti in semifinale dal Milan, che poi si aggiudicherà il torneo, diventando campione d’Italia per la prima volta, dopo i tre successi consecutivi del Genoa. Nel mentre le divise rosanero avevano fatto il loro tempo in casa juventina, sia perché irrimediabilmente usurate dalla pratica sportiva, sia perché il rosa era ormai visto da più parti come una tinta non conforme all’immagine che il club desiderava trasmettere. A questo punto non è più dato conoscere con certezza lo svolgimento dei fatti, che si perde nei racconti di allora, tramandati in più versioni, confusi dal tanto tempo trascorso. Si fece avanti a un certo punto un socio di nazionalità inglese, tale Gordon Thomas Savage, noto anche come John o Jim, commerciante all’ingrosso di prodotti tessili a Torino, giocatore di calcio oltreché arbitro in alcune partite ufficiali. Qualcuno racconta che Savage propose di comprare a Nottingham delle nuove divise, rosse con bordini bianchi, simili a quelle utilizzate dal Forest, la storiografia ufficiale fissa convenzionalmente al 1903 questo momento, perché nelle sue memorie Enrico Canfari racconta di «un percalle sottile e roseo che portammo, sbiadito all’inverosimile, sino all’anno 1902».
Nuove ricerche hanno ventilato l’ipotesi di retrodatare financo al dicembre del 1901 l’abbandono del rosanero e il debutto della maglia bianconera, all’amichevole contro il Milan giocata l’8 dicembre 1901 al Campo Trotter di piazza Doria a Milano, perché sulla cronaca dell’incontro riportata il giorno seguente dal quotidiano meneghino Corriere dello Sport – La Bicicletta si presenta l’ingresso dei calciatori torinesi in campo «sfoggiando i nuovi colori non più bianco e rosa ma bianco e nero». Fatto sta che, ricevuto l’incarico, Savage si mise in contatto con una fabbrica tessile di Nottingham e inviò l’ordine d’acquisto, accompagnandovi come campione la più maltrattata delle vecchie camicie rosa. Alla vista dello scolorito capo, probabilmente l’impiegato del fornitore credette che la camicia anziché rosa fosse bianca e macchiata: sicché, vista la coincidenza con i colori bianconeri della più antica compagine di Nottingham, il Notts County, uno dei più antichi club del calcio inglese, fondato nel 1862, pensò bene di spedire in Italia una dotazione di uniformi appunto dei Magpies. A Torino, quando fu aperto il grosso pacco postale, inizialmente le quindici maglie a strisce verticali bianche e nere decisamente non piacquero, ma data la prossimità degli impegni ufficiali non vi erano alternative per i soci-giocatori juventini. Vale la pena di ricordare tuttavia che Savage prima di trasferirsi in Italia in Inghilterra aveva giocato a calcio militando nel Notts County che solo pochi anni prima aveva vinto la Coppa d’Inghilterra nel 1894 ed era la sua squadra del cuore.
In ogni caso i nuovi colori porteranno fortuna e segneranno la progressiva e inarrestabile ascesa del club bianconero. Intanto il 10 aprile del 1903 per la prima volta una squadra straniera venne invitata a disputare una gara in territorio italiano, successe al Velodromo Umberto I, dove la Juventus ospitò gli svizzeri del Montriond Lausanne, e venne sconfitta per 0-1. Mentre il 13 aprile 1903 i bianconeri parteciperanno per la prima volta alla finale del campionato italiano di calcio, sul campo sportivo di Ponte Carrega a Genova, in Val Bisagno, dove saranno travolta dal fortissimo Genoa che sconfiggerà la Juventus nettamente con un perentorio 3-0. Il 1904 tuttavia qualcosa cambierà, arrivarono alla Juventus nuovi soci e in particolare i tre fratelli Alessandro, Annibale e Riccardo Ajmone Marsan che organizzeranno al meglio le “riserve” e il cui facoltoso padre Marco si impegnerà a pagare l’affitto del nuovo campo di gioco ufficiale che diventò il Velodromo Umberto I, dotato di tribune che iniziarono a riempirsi. Nel campionato italiano di Prima Categoria, dopo avere vinto le eliminatorie, per la seconda volta consecutiva la Juventus arrivò in finale contro il Genoa, perdendo tuttavia ancora una volta sull’inviolabile campo di ponte Carrega, ma questa volta con il risultato di 1-0. Nel 1905 divenne poi presidente della Juventus lo svizzero Alfred Dick, un uomo caratteriale e spigoloso, grande organizzatore e proprietario di un’industria molto bene avviata di calzature, che rinforzerà la squadra inserendo alcuni giocatori, suoi dipendenti, che renderanno la Juventus più solida. In quella stagione la società spostò la sua sede a via Donati 1 e il nuovo presidente firmò un lungo contratto di affitto per l’utilizzo del Velodromo di corso Re Umberto.
Nel campionato dello stesso anno la Juventus aveva superato il girone eliminatorio vincendo 2-0 per forfait le due partite contro la Torinese, ritiratasi dalle eliminatorie regionali. Dopo due anni in cui la vittoria fu solo sfiorata nel 1905 finalmente la Juventus riuscì a cogliere il suo primo titolo di campione d’Italia. La nuova formula delle finali nazionali metteva di fronte tutti e tre i campioni regionali, ma la sorpresa arrivò dalla Lombardia: un Milan alle prese con un ricambio generazionale, causato dall’addio di molti dei suoi fondatori inglesi, fu per la prima volta eliminato dalla US Milanese in due gare spettacolari, come sovente se ne verificavano all’epoca. Nel girone finale però la US Milanese giocò prevedibilmente il ruolo del «vaso di coccio»: infatti perse i primi tre incontri, mentre gli scontri diretti tra la Juventus e il Genoa finivano in entrambi i casi in parità, ma quando all’ultima giornata i rossoblu del Grifone accolsero la US Milanese sicuri di una facile vittoria che li avrebbe condotti allo spareggio a sorpresa non si andò oltre il pareggio, consegnando di fatto il titolo per la prima volta nella sua storia alla Juventus che così poté sollevare la Coppa Spensley, donata alla Federazione Italiana di Football dal portiere del Genoa, James Spensley, e scolpita dallo scultore genovese De Albertis. Il trofeo rimpiazzò la Coppa Fawcus, appena vinta proprio dai genovesi, e si basava sugli stessi principi, venendo consegnata a titolo provvisorio a ogni squadra vincitrice del campionato, e a titolo definitivo a chi si fosse imposto per tre stagioni consecutive oppure cinque complessive.
Gli undici giocatori della Juventus che vinsero il campionato italiano per la prima volta furono Domenico Durante, che in seguito diventerà l’illustratore del mensile Hurrà Juventus e delle campagne promozionali dei bianconeri torinesi, Gioacchino Armano, Oreste Marzia, lo svizzero Paul Arnold Walty, il capitano Giovanni Goccione, lo scozzese Jack Diment, Alberto Barberis, Carlo Vittorio Varetti, Luigi Forlano, l’inglese James Squair e Domenico Donna, quest’ultimo giocatore-allenatore della squadra che quell’anno si aggiudicò anche il torneo di Seconda Categoria, a cui partecipavano sia le squadre riserve sia le prime squadre di club non iscritte alla Prima Categoria. Gli artefici della vittoria della Juventus II furono Francesco Longo, Giuseppe Servetto, Lorenzo Barberis, Fernando Nizza, Ettore Corbelli, Alessandro Ajmone Marsan, Ugo Mario, Frédéric Dick, Heinrich Hess, Marcello Bertinetti e Riccardo Ajmone Marsan, che a coronamento di una stagione straordinaria ottennero un clamoroso successo per 2-1 sui titolari, freschi campioni d’Italia, nella partitella in famiglia al termine del stagione.
Da allora le strisce bianche e nere sfoggiate dalla Juventus e riconosciute in tutto il mondo sono diventate un simbolo di autorità e potere, che nella storia del calcio ha pochi eguali.
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5 risposte su “Ognissanti è il compleanno della Juventus. Poteva essere altrimenti?”
Scritto come sempre in modo perfetto ma l’ho trovato meno coinvolgente del solito…L’argomento di certo non aiuta!
Ottimo lavoro. Mi piace soprattutto leggere di come a quei tempi prendevano delle gran carrubbe dal Genoa
Bravo Roby, mi ha fatto piacere scoprire una nuance genovese agli albori della mia squadra del cuore…
Complimenti all’amico Roberto, ormai a pieno titolo ‘storico del calcio’ in utroque jure: come persona di cultura e come tifoso appassionato.
F. C.
Roberto sei un pozzo di scienza calcistica e non solo. Noto che ti sei documentato anche sui “Gobbi” da me non particolarmente amati data la mia lunga militanza rossonera.